Redazionale tratto da: Affari & Finanza
01 luglio 2013
“I nostri standard sono elevati senza rigidità che penalizzano i consumatori e che hanno rallentato l’innovazione di prodotto” sostiene Roberto Brazzale, l’imprenditore patron del Gran Moravia
Milano
“I formaggi non Dop hanno una marci in più perché pongono al centro il consumatore. Le Dop, al contrario, sono istituzioni nate per garantire il reddito ai produttori, talvolta anche a costo di penalizzare il consumatore”. Continua la crociata di Roberto Brazzale, “l’imprenditore eretico”, come viene comunemente chiamato dai suoi più strenui detrattori, i difensori “duri e puri” dei prodotti a denominazione. Brazzale lo fa a suo modo, senza peli sulla lingua: “Il sistema Dop è rigido e burocratizzato, e ha bloccato il processo innovativo che ha permesso continui miglioramenti ai formaggi italiani. Fuori dalle Dop, invece, questo processo è continuato liberamente ed il Gran Moravia ne è il frutto”.
Un esempio? “Fra i tanti cito l’uso obbligatorio di caglio animale nelle Dop che ne preclude il consumo ai vegetariani. Noi, invece, usiamo il caglio vegetale che è anche più stabile. In vent’anni è cambiato il mondo e le preferenze dei consumatori, dobbiamo rispettarle ed adattarci costantemente ad esse”, sostiene l’imprenditore.
Brazzale, presidente dell’omonima impresa di famiglia, giunta all’ottava generazione, ama definire la sua scommessa un’appassionante “sfida intellettuale” che ha rotto gli schemi con il passato: in Italia a Zanè (Vicenza) è rimasta la testa dell’azienda e raddoppiati i dipendenti pur avendo spostato la produzione del formaggio nel caseificio di Litovel, in Moravia, Repubblica Ceca, da dove il gruppo veneto fa concorrenza al Parmigiano Reggiano e al Grana Padano, due icone del made in Italy nel mondo. Anche attraverso i suoi dodici negozi diretti distribuiti in tutta la Repubblica Ceca, a marchio la “foraggerai Gran Moravia, che, oltre a commercializzare i prodotti del caseificio di Litovel, vendono tutti gli ingredienti della cucina italiana.
Oggi, la produzione di Gran Moravia destinata al mercato italiano e all’export è di 8 mila tonnellate: ogni sua forma pesa circa 37 chili e ogni giorno i 200 dipendenti del caseificio utilizzano oltre 400mila litri di latte per produrlo e avviarlo nel nostro Paese per la stagionatura e la commercializzazione.
La sfida di Brazzale si gioca su due tavoli: qualità e indicazione di provenienza del formaggio. “In termini di rintracciabilità, Gran Moravia garantisce livelli decisamente superiori delle Dop, visto che mostra tutte le fattorie della filiera, addirittura in mappa fotografica Google – sottolinea – Le nostre certificazioni inoltre sono effettuate da organismi internazionali, realmente terzi, e non da organismi di proprietà delle associazioni di categoria degli stessi controllati, come succede in Italia”.
I recenti fatti di cronaca sul problema delle aflatossine in pianura padana non aiutano il settore, anzi alimentano un senso di incertezza tra i consumatori. Fatti, secondo Brazzale, che corroborano la decisione dell’azienda veneta di sviluppare una filiera agricola ecosostenibile in Moravia.
“In questa regione – puntualizza – il clima permette l’assenza di aflatossine nel prodotto: è fattore decisivo per la salubrità dei foraggi. Mentre l’Italia è costantemente esposta al rischio aflatossine a causa delle calure estive”.
Per il Gran Moravia la competizione con i formaggi Dop si misura anche sui prezzi. “I prodotti a marchio d’impresa come il nostro, a qualità equivalente hanno prezzi molto più competitivi delle Dop, alle quali stanno prendendo sempre maggiori fette di mercato – sottolinea Brazzale – Nell’interesse del consumatore le Dop dovrebbero accettare la competizione e migliorare il proprio rapporto qualità prezzo, anziché chiedere protezione dai concorrenti e rafforzamento del duopolio. Un sistema efficiente, alla lunga, vince la gara sullo scaffale perché il consumatore è intelligente”.
L’imprenditore insiste sul rapporto qualità-prezzo: “Non esiste nessuna relazione necessaria – obietta – Anzi, è una favola che molti produttori cercano di accreditare presso il consumatore per coprire la propria inefficienza o per garantirsi delle rendite. La verità è che il costo di un prodotto dipende dalla organizzazione e dalla intelligenza imprenditoriale di configurare i processi più adatti”. In questo senso, l’Unione Europa non aiuta a fare chiarezza: “Bruxelles da sempre ha due anime: quella aperta al mercato e quella dirigista, prevalente in agricoltura, che ha prodotto mostri come le quote latte, un’assurdità che ha regalato il 40% del commercio internazionale all’Oceania – conclude Brazzale, dal 2001 membro permanente del “High Level For a Better Chain” presso la Commissione Ue – Demagogia e clientelismo rischiano di farci perdere le grandi opportunità legate alla crescita costante della domanda mondiale”.
IL GRUPPO
Fattura 165 milioni, è la più antica azienda familiare
Nel mondo del latte dalla fine del ‘700, la Brazzale Spa é la più antica azienda familiare italiana attiva ininterrottamente da ben otto generazioni. Nata sull’altopiano di Asiago, dal 1898 ha proseguito la sua attività a Zanè, nella pianura vicentina, presso Thiene, dove realizza il primo burrificio industriale. Dal 2002 la famiglia Brazzale ha unito le sue forze a quelle della famiglia Zaupa, attiva da generazioni nelle paste filate e pressate, e l’unione ha portato il gruppo ad essere oggi protagonista del settore in Italia con quattro prodotti Dop e sei diversi marchi: Alpilatte, il marchio storico “Burro delle Alpi”, Verena, Zogi, Gran Moravia e Silvopastoril. Il gruppo ha chiuso il 2011 con un fatturato di 165 milioni di euro, di cui circa il 30% di export. L’azienda conta oggi cinque impianti produttivi distribuiti in Italia, Repubblica Ceca e Brasile.