Redazionale tratto da: Formaggi & Consumi
Aprile 2015
Archiviato il regime delle quote, restano molti timori nel settore caseario. Prezzi, concorrenza, aumento della produzione nel Nord Europa, tra gli altri. Ne parliamo con Roberto Brazzale, consigliere di Assolatte e presidente del Gruppo Brazzale.
Pareva quasi non sarebbe mai arrivato, eppure il regime delle quote latte è ormai ufficialmente storia. Una lunga e travagliata storia, con code polemiche e il tema delle multe arretrate sempre all’ordine del giorno. Ma l’attuale fase di mercato, con molte turbolenze sia sul mercato interno che su quello internazionale, preoccupa tutta la filiera. E le questioni vanno ben oltre la fine del regime, seppure da alcuni indicato come causa di tutti i mali che affliggono il mercato in questo momento. Certamente, l’impatto che questa norma ha avuto sulla crescita del settore allevatoriale in Italia sono ancora paradossalmente tutte da scoprire e verranno alla luce proprio con la fine di un sistema chiu- so che ha nascosto,in parte,le inefficienze strutturali italiane. Sul tavolo molti nodi da sciogliere: incremento della produzione, calo dei prezzi, rapporti di filiera, impatto dell’euro, recupero dell’efficienza. Di questo e molto altro parliamo con Roberto Brazzale, consigliere di Assolatte, vicepresidente dell’Associazione dell’Industria casearia ceca e membro dell’High Level Forum Ue e presidente del Gruppo Brazzale, azienda attiva nel settore caseario dal 1784. Dall’inizio del 2014 il Gruppo, in Repubblica Ceca, offre agli allevatori conferenti un premio per le quantità aggiuntive di latte prodotto, esattamente il contrario del regime delle quote latte. “Siamo stati la prima azienda in Europa a fare questa scelta, proprio in considerazione della fine del regime”, spiega Brazzale…
È finito il regime delle quote latte. Cosa succederà a suo avviso a prezzi e produzioni, in Italia ora?
Il produttore italiano si trova nella situazione peggiore per crescere: schiacciato dalla parità di cambio con Germania e Olanda, stretto in un territorio scarso e quasi completamente sfruttato e urbanizzato, limitato dal carico di nitrati e dal costo delle materie prime che deve comprare all’esterno, impedito nell’innovazione tecnologica, bloccato negli investimenti per le difficoltà di un sistema bancario stremato, vessato da imposte ed inefficienze, condizionato da una politica orientata al cartello ed al controllo dell’offerta anziché al mercato. E, ricordiamoci, ci sono da pagare tutte le multe vecchie. Un panorama disastroso che abbiamo creato da soli. Se non si esce dall’euro, la zootecnia e l’industria di trasformazione italiana, pur magari crescendo, saranno destinate a subire un ridimensionamento relativo, perdendo quote di mercato a causa dell’attivazione di tutto il potenziale dell’Europa del centro-nord, non solo più competitiva, ma oggi addirittura drogata da una valuta, per quei paesi, debole. Quanto ai prezzi, dipendono solo dal mercato mondiale e dai cambi, ed oggi il mercato mondiale è cedente.
Ma il deprezzamento dell’euro sul dollaro non cambia il quadro?
Certo,nel breve aiuterà i prezzi interni, una provvidenza inat- tesa proprio nel “grande momento”. Ma è un beneficio solo temporaneo che perché l’euro è pur sempre la valuta della Germania ed è destinata a recuperare valore nel medio termine, e allora saranno dolori. E poi, ricordiamoci che l’euro si è svalutato anche per gli altri europei, che ne avranno più vantaggio di noi. Sono i rapporti entro l’euro quelli decisivi per la nostra sopravvivenza.
E invece nel resto d’Europa?
Una rivoluzione, come la caduta del muro. Per la prima volta nella loro vita milioni di allevatori potranno scegliere libera- mente di crescere usando la leva delle economie di scala. E moltissimi sono già pronti a farlo, specie nelle aree vocate che si specializzeranno ulteriormente. Finalmente saranno utilizzate al meglio la capacità produttiva e le risorse umane. Un fenomeno straordinario che darà grande beneficio al consumatore e farà ritornare l’Europa il leader nel mercato mondiale del latte. Come si meritano i suoi formidabili allevatori che, finora, hanno subito un sistema liberticida al cui confronto l’Unione Sovietica era la California.
E quanto ai prezzi?
I prezzi andranno dove li porteranno il mercato mondiale ed i cambi, su e giù, ma con un trend di domanda globale in crescita. I margini potranno migliorare grazie alle economie di scala che fanno diminuire i costi medi alla stalla, così le crisi cicliche potranno essere affrontate molto meglio, perché è il margine portato a riserva il vero ammortizzatore nella volatilità, non certo gli artifici della politica. Era ora.
Quindi non crede ad una possibile autoregolazione dei produttori?
Per nulla. Sta scherzando? Tedeschi e olandesi, con un export in forte espansione, non vogliono più sentire parlare di quote. Ci mettiamo a farle da soli a Cremona? Pensare di ridurre tutti assieme la produzione per sostenere i prezzi è proprio la cultura che la UE ha abbandonato perché fallimentare. Una ricetta anacronistica e irrealizzabile, che presuppone un mercato chiuso e diretto che non esiste più. L’allevatore singolo non può e non deve pensare all’effetto macro delle proprie scelte. Deve farle. Punto e basta. Chi non ragiona così esce dal mercato.
Però il dibattito è tutto in questa direzione…
Così è solo in Italia, dove non pensiamo ad altro che a cartelli e protezionismi da quando le imprese hanno rinunciato alla libertà ed al mercato in cambio delle rendite. Ma le rendite pagano sempre meno. Da qui il disorientamento e il tentativo di far rientrare le quote dalla finestra, magari attraverso il contingentamento dei prodotti trasformati o l’autodisciplina di cooperative e consorzi. Si ragiona come se esistesse un solo grande allevatore, ma la verità è che milioni di singoli allevatori, di individui, sono ritornati liberi di scegliere ciò che è bene per la propria azienda e non per una astratta “categoria”. Le catene sono spezzate. Le scelte saranno individuali perciò più efficienti. Per esempio, contrariamente a quanto si pensa, quando il prezzo cala la scelta più intelligente per l’individuo singolo è incrementare la produzione perché, comunque, aumenterà i ricavi e la marginalità assoluta. Non spetta all’individuo porsi il problema di quanto il suo aumento inciderà sul prezzo mondiale. Gli allevatori avranno soltanto un imperativo: aumentare la produzione fino al massimo sfruttamento della propria utilità marginale. E così faranno. Anche in Italia.
Crede che i paesi del Nord proseguiranno nell’incremento di produzione già mostrato nei mesi precedenti?
Senz’altro, anche se con intensità variabile in ragione di prezzi e margini, grazie all’export per servire una domanda mondiale che è vista in crescita per molti anni ancora. A crescere non saranno tutti, bensì i produttori vocati, e quelli situati nelle aree adatte. Per quelli in difficoltà strutturale, come moltissimi italiani, potremo assistere anche a sensibili cali e uscite dal mercato. L’Europa, nel complesso, crescerà notevolmente e si specializzerà sempre più per aree.
Quale sarà quindi la destinazione del latte prodotto in eccesso?
Latte prodotto in eccesso non ne esiste. Il latte non è mai in eccesso, incontra sempre una domanda. Semmai è la fame sempre in eccesso, così come i costi di produzione e l’interferenza della politica. Sarà la riduzione dei costi che permetterà prezzi più competitivi e l’espansione dei consumi. Torneremo a riprenderci ampie fette del mercato mondiale. Banale, anche se in Italia suona come una bestemmia, ma è semplicemente così. Offrire più prodotto, a prezzi calanti per il consumatore, con margini assoluti crescenti per il produttore: ecco la straordinaria conquista del “dopo quote”. Oppure qualcuno preferisce carestie e razionamenti per sostenere i prezzi unitari dei prodotti italiani, troppo costosi?
Quale potrebbe essere la strada per ridurre i costi di produzione della materia prima in Italia, generalmente più alti che nel resto d’Europa?
Elementare: riallineare il cambio con Germania e Olanda, cioè uscire dall’euro. Ridurrebbe i costi in termini reali almeno del 20%, al netto dall’inflazione che, parzialmente, neutralizzerà l’effetto svalutazione. Il resto è un arrampicarsi sugli specchi illusorio e non risolutivo. Gli allevatori italiani oggi sono degli eroi, dannati, costretti a mantenere un sistema politico-economico molto più inefficiente di quelli dei concorrenti, che genera maggiori costi non più compensati dalla flessibilità di cambio a causa delle sciagurate parità fisse dell’euro. Basti pensare ai maggiori costi di energia, tra- sporti, contributi, imposte, che si sono ulteriormente accentuati nei 17 anni di parità. È sbalorditivo che il sindacato non lo capisca. È in atto una strage del sistema produttivo nel silenzio più assordante.
Il ministro Martina ha scelto di intervenire in modo deciso sulla filiera lattiero casearia: accordi interprofessionali e ricorso all’antitrust nel caso di quotazioni troppo basse della materia prima. Cosa ne pensa?
I ministri dell’agricoltura di uno stato membro della Ue non contano praticamente nulla.Tutto viene deciso a Bruxelles, dove l’Italia conta solo per un ventottesimo. Certo, non lo possono confes- sare ai propri elettori, perciò in patria spesso mostrano i muscoli per millantare la necessità della propria funzione, così generano infondate aspettative oppure dannose distonie rispetto alla logica comunitaria. Ma è solo teatro. L’antitrust non c’entra nulla perché i prezzi sul mercato si formano liberamente; semmai, l’autority avrebbe molto da lavorare sulle esagerate eccezioni al diritto della concorrenza di cui gode il mondo agricolo, distorsive del mercato e dannose per il consumatore, non fosse che tali eccezioni sono diventate legge con la compiacenza della politica, vedi il recente pacchetto latte.
Però c’è sempre il comma 2 dell’articolo 62…
Quel famigerato art.62! Legare il prezzo del latte alla stalla ai costi di produzione è una sciocchezza autolesionistica che, innanzi tutto, farebbe perdere vendite alle produzioni italiane che andrebbero fuori mercato nelle fasi cicliche calanti, costringerebbe i trasforma- tori a comprare latte altrove e penalizzerebbe le aziende agricole più piccole e deboli. Ma, soprattutto, non è sostenibile perché pa- lesemente illegittima, come la Corte di Giustizia ha avuto modo chiaramente di sentenziare in casi analoghi, che il ministro Martina sembra non considerare. Un’infelice legge dello stato italiano può andare contro il buon senso, ma non contro i principi posti da normative di rango superiore o comunitarie. Martina dovrebbe occuparsi di cose serie e concrete, spiegando a Renzi l’urgenza per il Paese e per gli allevatori di una uscita rapida e governata dall’euro. Si guadagnerebbe un posto nel Pantheon degli agri- coltori, accanto a Marcora. E Renzi uno accanto a De Gasperi.
Ritiene che le misure previste dall’annunciato Pacchetto latte bis saranno sostenibili dalle aziende italiane?
Ad ogni calo dei prezzi tornano di attualità le stesse demagogie. Cosa c’entrano la durata o la forma dei contratti con i prezzi? Determinano solo rigidità, che può benissimo andare a danno degli agricoltori. La vera sfida è rendere più rapida possibile la trasmissione dei prezzi lungo tutta la catena. In su ed in giù.
A suo avviso, come potrebbe essere riorganizzata l’intera filiera lattiero casearia per recuperare efficienza a tutti i livelli?
Innanzitutto uscendo dalle parità euro ma, in generale, sempre allo stesso modo: garantendo il massimo grado di concorrenza. Non c’è nulla da inventare. In Italia ed in Europa sarebbe urgente ridurre l’intermediazione della politica. Più mercato, meno PAC. Pensi all’incredibile bando delle sementi Ogm: con queste scelte irragionevoli ed oscurantiste non si va da nessuna parte. Si chiuderà o si dipenderà sempre di più dagli altri.
In questo momento sono le organizzazioni agricole ad aver monopolizzato la scena, mentre l’industria rimane, almeno pubblicamente, in silenzio. Crede sia la strada migliore?
Nell’agitazione demagogica l’industria non ha carte interessanti da giocare, non è il suo campo. L’industria tace e opera con serietà ed impegno, come sempre, per valorizzare il lavoro ed il latte italiano. Semmai, come successe vent’anni fa con le quote latte, l’industria lavora per difendere gli allevatori dalle scelte sbagliate dei propri rappresentanti. Nei fatti.
Infine, anche la Gdo si sta muovendo sul terreno della contrattazione del prezzo del latte con l’iniziativa di Conad, che ha fissato in 0,38 centesimi di euro il prezzo alla stalla per le proprie Pl. Cosa ne pensa?
Apprezzabile la buona volontà, ma per diventare concrete queste iniziative richiederebbero un sistema di prezzi controllati lungo tutta la catena ed esteso a tutta la distribuzione. Praticamente, il socialismo.