Intervista a Roberto Brazzale, presidente dell’omonimo colosso del lattiero caseario da circa 150 milioni di fatturato, sulla richiesta Ue. Spazio anche a Grexit, euro e al rilancio del burro
“Usare il latte in polvere nei grandi formaggi è un non senso tecnologico ed economico”. E ancora: “Chi ha paura del latte in polvere ha semplicemente rendite da difendere o idee confuse”. Poi la difesa del burro (“fa bene ed è essenziale in una dieta sana!”) e gli obiettivi imprenditoriali della famiglia, fra innovazione e internazionalizzazione, due pilastri insostituibili. Lapidario sull’euro: “Non funziona, non ha mai funzionato e non funzionerà mai”.
A parlare è Roberto Brazzale, presidente dell’omonimo gruppo e alla settima generazione di una famiglia fortemente legata al settore lattiero caseario. Dal quartier generale nel vicentino, oggi Brazzale Spa – circa 150 milioni di euro di fatturato – è presente con impianti produttivi in Europa, Cina e in America Latina. AgroNotizie lo ha intervistato.
Roberto Brazzale, partiamo dalla cronaca: come giudica la protesta contro l’uso del latte in polvere nella produzione di formaggi in Italia?
“Una drammatizzazione infondata che confonde le idee al consumatore e dimostra l’arretratezza culturale del nostro paese, sempre più ostaggio dei sindacati agricoli. Il latte in polvere è latte a tutti gli effetti, buonissimo con tutte le sue alte proprietà, cui è stata semplicemente tolta l’acqua, per essere conservato e trasportato molto più facilmente. Chi lo usa nei formaggi non lo fa per sostituire il latte liquido, ma per standardizzarne le caratteristiche ai fini di ottimizzare i processi produttivi più automatizzati, ma chi fa formaggi di alta qualità e artigianali, come noi con il Gran Moravia, non ha bisogno del latte in polvere, e le Dop ne proibiscono l’uso. Che paura abbiamo?”.
Appunto, che paura avete?
“In Repubblica Ceca noi produciamo formaggi di alta qualità usando soltanto latte crudo di raccolta e non ci sentiamo minimamente minacciati dai concorrenti, che possono usare il latte in polvere. Usare il latte in polvere nei grandi formaggi è un non senso tecnologico ed economico. Che senso ha sollevare allarmi?
n ordine alla concorrenza al latte nazionale, chi protesta è in mala fede o male informato: i formaggi prodotti all’estero con l’uso di latte in polvere arrivano da sempre in Italia e vengono venduti con grande successo di pubblico, perciò, sullo scaffale, non cambierebbe nulla né i prodotti tipici ne subirebbero pregiudizio. Con questa novità, semplicemente, i produttori italiani di formaggi non Dop o derivati del latte sarebbero posti nelle stesse condizioni di quelli stranieri di cui già subiscono la concorrenza senza poterci fare nulla.
Oggi sono discriminati e l’Italia perde posti di lavoro e competitività all’estero, dove potrebbe vendere meglio e di più. O vogliamo che sia solo l’industria estera a vendere in Italia i formaggi fatti anche con l’uso di latte in polvere?
Non esistono solo gli interessi degli allevatori, ma anche quelli degli addetti industriali. La verità è che i sindacati agricoli ed il ministro ostacolano ogni iniziativa che disturbi le posizioni di rendita dei produttori italiani, il cui latte è già pagato almeno il 15% in più dei colleghi bavaresi e francesi. L’Italia è strutturalmente deficitaria di latte e lo sarà per sempre perché non ha territorio sufficiente, così deve importare circa 6,5 milioni di tonnellate equivalenti latte, il 60% in più rispetto la propria produzione.
Di questo, ogni anno 1,5 milioni di tonnellate di latte sono importate come sfuso e liquido. Gli allevatori italiani preferiscono che si continui ad importarlo liquido perché finisce per costare molto di più a causa del trasporto, almeno 5 centesimi al litro dalla Baviera a Milano”.
Con quale conseguenza?
“Che ciò permette di sostenere i prezzi italiani, con una speculazione che viene pagata dal consumatore, come sempre, spaventato e disinformato. Il risultato è che l’Italia perde l’occasione di crescere con la sua industria e che, sempre più, i prodotti entrano nel nostro paese già finiti, pronti al consumo o semilavorati. Chi ha paura del latte in polvere ha semplicemente rendite da difendere o idee confuse”.
Il Gruppo Brazzale recentemente ha assunto una posizione di sostegno al burro come alimento. Quale futuro vede per questo prodotto in Italia e a livello mondiale?
“Il burro è un alimento straordinario, aggredito 30-40 anni fa da una campagna denigratoria assurda, che ha spaventato senza motivo i consumatori e sconvolto la cultura diffusa e le abitudini alimentari dei cittadini, dirottati ad arte verso i carboidrati e i grassi vegetali, con conseguenze negative per la salute e per il piacere della tavola.
Di questi danni porta grande responsabilità anche l’industria di quei prodotti, che ha sostenuto campagne di disinformazione con grandi investimenti. Ma anche l’industria del burro non ha avuto il coraggio di reagire, ed è finita addirittura per avvalorare le tesi dei denigratori offrendo prodotti alleggeriti o senza colesterolo. Un autogol gravissimo. Ora la scienza non solo ha rivalutato il burro, ma addirittura esaltato come prodotto prezioso, irrinunciabile ed insostituibile”.
Che cosa ha fatto la vostra azienda?
“La nostra azienda, semplicemente, ha deciso di uscire dalla depressione nella quale versano da almeno trent’anni i produttori di burro e di grassi animali, e di comunicare al consumatore questa lieta novella: il burro non solo non fa male ma fa addirittura bene ed è essenziale in una dieta sana! Ritorniamo a consumarlo come e quanto merita. Abbiamo lanciato un manifesto per la liberazione dai pregiudizi sul burro e vogliamo anche restituire al consumatore il gusto di distinguere e apprezzare i vari tipi di burro, le sue diversissime varianti, come si fa con i formaggi.
A tal fine abbiamo creato il Burro Superiore Fratelli Brazzale, un capolavoro assoluto di freschissima crema di centrifuga, la Rolls Royce del burro, e ci auguriamo che i colleghi facciano altrettanto. Il futuro del burro è tornare al ruolo che aveva in passato, cioè di protagonista della dieta e della cucina, delizia per il gusto e prezioso per la salute”.
Qual è il fatturato del Gruppo Brazzale e quali obiettivi sono nel mirino dell’azienda?
“Quest’anno si aggirerà attorno ai 150 milioni di euro. In termini di quantità, stiamo crescendo leggermente nonostante il bando russo, anche se abbiamo preferito rallentare la crescita in vista della crisi di sovrapproduzione, e ciò ha pagato.
L’operazione di rilancio del burro e l’offerta di sue nuove varietà sono il focus per il 2015, mentre gli obiettivi generali dell’azienda non cambiano: sviluppo continuo delle produzioni di alta qualità a marchio proprio, realizzate nella nostra filiera ecosostenibile in Moravia, in primis Gran Moravia, Verena, Provoloni e Paste Filate.
Continua innovazione nel confezionamento, sviluppo della catena al dettaglio a proprio marchio in Repubblica Ceca e Cina, con l’apertura di almeno 4-5 punti vendita all’anno dove il 70% del prodotto venduto è italiano.
Perciò, forte spinta all’export e ampliamento linee produttive del nostro caseificio in Moravia dove, nel dopo quote, stiamo premiando gli allevatori che aumentano la loro produzione e qualità per ottenere materia prima più buona e conveniente a vantaggio del consumatore, la cui soddisfazione nella qualità e convenienza rimane il nostro unico obiettivo.
Nella filiera carne stiamo lanciando assieme all’Università di Campo Grande uno sviluppo ulteriore della filiera ecosostenibile Silvo Pastoril, un vero paradiso del verde e della sostenibilità efficiente. Mai il mondo ha offerto tante opportunità di realizzare prodotti più buoni e più convenienti”.
Il Global Dairy Trade neozelandese può essere per voi una piattaforma di interesse?
“Nessun interesse. Noi produciamo prodotti di alta qualità casearia e burro confezionato, perciò è uno strumento di vendita che non ci interessa. Nemmeno ci interessa per gli acquisti, che noi curiamo direttamente alla stalla, o nei caseifici nel caso del burro. Il Gdt è uno strumento utile e prezioso ma soltanto per le commodities, che noi non trattiamo”.
Avete una presenza stabile in Cina. Che cosa producete e quali sono gli obiettivi di sviluppo?
“In Cina operiamo con una società di importazione dall’Italia, un primo negozio al dettaglio ed un piccolo caseificio che ci è necessario per produrre i formaggi freschi per il mercato interno cinese, che non si riescono ad importare dall’Italia per motivi logistici. I volumi sono ancora contenuti, ma la presenza è preziosa in una prospettiva di lungo termine. È un paese difficile ma immenso, molto interessante come mercato di sbocco futuro”.
Il vostro gruppo si caratterizza per una marcata attenzione alla sostenibilità e all’ambiente. Quali sono i ritorni di tale filosofia?
“Ecologia ed economia sono facce della stessa medaglia: l’uso efficiente delle risorse. Le nostre filiere ecosostenibili, nei formaggi Gran Moravia e nella carne Silvo Pastoril, hanno rivoluzionato il settore perché permettono di produrre prodotto più buono, a costi inferiori e con impatto ecologico molto più virtuoso, per la gioia del consumatore. Sembra impossibile, ma è così. Si devono fare le cose dove vengono meglio, non dove c’è una rendita da difendere.
Bisogna però liberarsi dalla cultura corporativa italiana ed europea, che limita lo sviluppo e danneggia il consumatore perché basata sul controllo dell’offerta, e fare del mondo il proprio paese. Così ragionano ormai anche sempre più i consumatori, perciò i nostri prodotti sono sempre più apprezzati. Negli Stati Uniti, per esempio, è molto più importante l’impatto ecologico del prodotto rispetto la sua provenienza”.
Lo scorso gennaio ha salutato con favore l’elezione di Alexis Tsipras. È ancora della stessa opinione?
“Non perché la pensiamo come Tsipras, ma perché con la Grexit il suo governo demagogico potrebbe dimostrare la ovvia reversibilità e insostenibilità dell’euro e, di seguito, creare le condizioni perché anche l’Italia ne esca, liberando il paese ed il suo sistema produttivo.
L’euro, semplicemente, non funziona, non ha mai funzionato e non funzionerà mai. È una valuta in attesa di uno stato che non verrà mai. Stritola le economie dei paesi periferici e gonfia di crediti i paesi forti, indebolendoli e inquinando i rapporti internazionali, mettendo a repentaglio il buono che c’è nel consesso europeo. È peggio di un delitto, è una ingenuità, che ci è già costata carissima, anche se il conto finale deve ancora venire”.
È un giudizio inappellabile, il suo. Pensa sarebbe meglio tornare alle monete nazionali?
“L’euro è, essenzialmente, imbarbarimento: trasforma in conflitto conclamato tra governi e popoli, le tensioni che l’aggiustamento del cambio, permette trovino sfogo e risoluzione secondo natura, compensando le differenze strutturali tra le economie. Per la nostra agricoltura la ventennale parità di cambio tra Italia e Nord Europa è stata ed è devastante, una vera sciagura che sta uccidendo i nostri produttori.
Il sindacato continua a non capirlo e a sostenere questa folle avventura dalla quale dobbiamo uscire prima possibile. Per molti allevatori sarà, però, troppo tardi: stanno sopportando sovra costi di almeno il 20/30% sul prezzo, senza avere un cambio che li compensi”.